Gli elettrodi della felicità
La roba è lì, guardatela. Se vi piace, bene, se no, pazienza. Io
faccio il mio mestiere, non la metafisica o l’imbonimento del
mio mestiere, com’è di moda oggi. Perciò io non sono di moda.
(A. Nadiani)
Nadiani, oltre ad interpretare magistralmente il ruolo di Grande Dilettante (per utilizzare un’espressione presa a prestito da Alberto Savinio) come pochi altri seppero fare nel secolo scorso, tenne singolarmente unite in sé diverse e opposte tradizioni culturali: accanto ad un indelebile legame con la Romagna e all’influenza che la cultura mitteleuropea esercitò su di lui per tutta la vita (la madre era di origini austriache), ebbe un notevole peso anche la relazione con il mondo scandinavo mai interrotta dopo il lungo soggiorno in Norvegia durante la seconda guerra mondiale.
Artista colto e poliglotta, elegante e raffinatissimo, ma anche pignolo e umorale fino all’inverosimile, Nadiani non lavorò mai per il successo. La fitta corrispondenza con galleristi ed editori, di cui è rimasta ampia testimonianza, racconta di rapporti contrastati e talvolta burrascosi con alcuni dei protagonisti della cultura italiana del secondo dopoguerra.