La Madonna col Bambino di Guido Cagnacci

Un dipinto per Santarcangelo dalla collezione Koelliker

Il deposito, a scadenza indeterminata, dell’opera di Cagnacci, concesso da Luigi Koelliker al museo comunale di Santarcangelo, viene celebrato con una piccola ma significativa mostra delle quattro tele dell’artista presenti nella collezione milanese.

Santarcangelo di Romagna,
Palazzo Monte di Pietà, via della Costa, 13
Dal 6 maggio al 18 giugno 2006

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La Madonna porge al Bambino la rosa e il rosario

Opera in deposito al Musas dalla collezione Luigi Koelliker

Come in una cesta fatta dal proprio grembo la Madonna sta cullando suo figlio nudo, dalla pelle eburnea e i capelli color del miele. Il momento, anziché essere dominato dalla gioia, è sospeso in uno scambio di sguardi pensierosi prossimi alla malinconia. Il fiore e la collana con i quali sembra giocare il Bimbo sono, infatti, la premonizione della passione, il corollario simbolico degli eventi che lo condurranno sulla croce.

L’immagine è circoscritta da un taglio ravvicinato che non concede alcun riferimento allo spazio. Le ondeggianti e inamidate pieghe dell’abito rosso formano calanchi che si addossano alle falde cerulee del manto.

La scia luminosa investe radente anche il capo reclinato della Vergine marcandone i caratteri come un drammatico trucco per attori da teatro, mentre il corpo del Bambino gode di un chiarore autonomo. Per riflesso di questo, sotto il mento della Madre dove dovrebbe trovarsi il nero più fondo, si riverbera un alone opalino che ancor più ne trasforma il volto in maschera, facendolo divenire il fulcro anomalo dell’opera.

Sensualità ed asprezza avvolgono tutto il dipinto che non è immune da ingenuità formali, come dimostrano gli scorci impacciati delle mani. L’opera è il frutto precoce di viaggi entusiasmanti che hanno portato il giovane Cagnacci alla conoscenza di Simon Vouet, di Orazio Borgianni e di tutta la ‘scapigliatura’ romana del primo naturalismo.

Alla luce di una nuova rilettura storica, condotta per questa occasione, il dipinto è databile intorno al 1622.

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Maddalena in meditazione (opera di collaborazione)

olio su tela, cm. 47 x 58,5

Milano, collezione Luigi Koelliker
(inv. LK 624)
Provenienza: collezione Baratti; aste
Semenzato in Goito, Villa
La Giraffa, maggio 2000 n. 99.

Questa estenuata Maddalena porge la guancia e l’ampia fronte al fascio obliquo di luce, che piove dall’alto come in un pozzo o in una grotta interamente occupata dall’ombra. Nonostante il taglio estremamente ravvicinato dell’immagine, l’espressione della figura e gli oggetti simbolici che essa tiene sollevati al petto – un teschio e una piccola croce di legno – appaiono sufficienti per allestire una scena drammatica, ormai volta a sentimenti trasognati e inebriamenti propri della malinconia.
Nella costruzione di un sensuale sonetto mistico al nostro artista basta questo: una luce incalzata dal nero; un morbido e pensieroso viso di ragazza; una posa melliflua e due oggetti scabri che ricordano la morte. Nell’inventare questa struggente immagine, qui eseguita forse con l’aiuto di un collaboratore, Guido Cagnacci ha cercato di catalizzare i favori di una commozione intimamente sincera ed insieme il gusto di raffinati cultori dell’arte pittorica, che intorno alla metà del Seicento si contendevano le sue opere tra Bologna, Venezia e Vienna. Soprattutto durante il soggiorno veneziano l’artista dovette produrre una notevole quantità di mezze figure, di svenevoli eroine discinte o di sante assorte in sublimi pensieri, che furono oggetto ricercato dal più attento collezionismo europeo.
Il forte chiaroscuro che caratterizza quest’opera dovrebbe precedere quella tarda stagione del pittore e collocarsi verso la metà degli anni Trenta, quando alla suggestione caravaggesca si aggiungono le morbidezze formali dell’incipiente barocco.
Una versione del tutto simile di questa Maddalena, che a giudicare dalla vecchia foto sembra solo meno contrastata nelle luci e nelle ombre, è transitata qualche decennio fa nel mercato antiquario con una attribuzione al reatino Antonio Gherardi, che nel clima artistico romano di metà secolo rincorse quel particolare naturalismo sensuale messo a punto anche da Guido (vedi D. Benati, Collezione di Antichi Maestri Emiliani, catalogo della mostra 1996, Bologna, Galleria Fondantico, p. 36).

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Studio per Maddalena orante

olio su tela, cm. 90 x 72

Milano, collezione Luigi Koelliker (inv. LK 1127)

Si tratta di un incompiuto studio preparatorio per la pala conservata nella chiesa di Santa Maria Maddalena delle Benedettine a Urbania, che sappiamo eseguita da Guido Cagnacci nel 1637.
I grandi occhi acquosi, il naso camuso e la bocca dischiusa, quasi parlante, sintetizzano quella che nella più vasta tela descriverà l’intima spiritualità della santa. Solo meno arrossata dal pianto risulta la Maddalena del bozzetto.
La scabrosità della materia pittorica, lasciata scoperta ai primi strati di colore, crea un mirabile contrasto con la morbida grazia del soggetto, ne risulta un’alchimia che spinge al ricordo dei non finiti di Guido Reni, uno dei maestri ispiratori di Cagnacci. Tuttavia impressiona constatare che le mirabili tele, che Reni sospese allo stato larvale, sono databili all’estrema sua attività, vale a dire tra il 1638 e il 1642. Anche per questa ragione si è più volte ipotizzata un’influenza dell’allievo Simone Cantarini sulle ultime scelte del vecchio genio bolognese. Alla luce della datazione di questo straordinario documento di Cagnacci si può meglio intendere il clima che, tra struggimento e sublimazione, stava vivendo la pittura in quegli anni a Bologna e nelle province limitrofe.
Altre piccole opere di Guido Cagnacci fanno comprendere come fosse abituato a eseguire veloci abbozzi di teste prima di affrontare commissioni importanti.
Secondo R.B. Simon, che nel 1988 rese noto il dipinto in esame, potrebbe essere identificato con una “S. Maria Maddalena con mani giunte al petto di Guido Cagnacci” citata da G.B. Carboni nel 1760 in casa Barbisoni a Brescia.

Bibliografia:
R.B. Simon, Important Old Master Paintings. Discoveries in una nuova luce, catalogo della mostra, Piero Corsini Inc., New York, 1988, pp. 63- 66; C. Th iem, in Guido Reni e l’Europa, catalogo della mostra, Bologna 1988, pp. 509-510; D. Benati, Guido Cagnacci, catalogo della mostra Rimini 1993, Milano 1993, pp. 102-103.

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Ritratto di gentiluomo con asta di archibugio

olio su tela, cm. 126,7 x 94

Milano, collezione Luigi Koelliker (inv. LK 1024)

L’uomo ritratto, relativamente giovane, sfoggia un elaborato e prezioso abbigliamento che sta a metà strada tra quello di un soldato e quello di un cortigiano. Si direbbe un nobile capitano a stretto servizio di un regnante, pronto a partecipare ad una parata militare, tanto è ricercato il connubio tra il corsetto ricamato con motivi a rete, i pizzi della camicia e la pettorina armata, foderata di nastri rossi, come le fasce che decorano le maniche.
Un vestiario che, in verità, potrebbe adattarsi pure alla tenuta da caccia di un principe.
Anche l’atteggiamento e lo sguardo, sembrano trasmettere la coscienza di una elevata condizione: la mano destra impugna un’asta da archibugio mentre l’altra poggia sul fianco con un vezzo singolare; il volto è sereno, pasciuto e roseo, sotto i baffi e il pizzetto fulvi; una lunga ciocca di capelli, per metà intrecciata, è puntata da un piccolo fiocco scuro. Non siamo di fronte ad un uomo qualunque, questo sembra voler insinuare il quadro, che non ha di comune nemmeno il pittore.
Confesso che alla prima vista di questo gioiello pittorico avevo pensato al classicista bolognese Francesco Albani che ai suoi rari ritratti riserva una attenzione epidermica particolare, soffusa di ciprie, di sottigliezze cromatiche e di ricercati dettagli delle vesti, come è nel Ritratto di Andrea Calvi del Museo Nazionale del Galles.
Ma l’indicazione giunta da Daniele Benati di vedervi una superba prova di Guido Cagnacci mi ha trovato concorde, andando anche a confermare quanto già si supponeva sull’interesse del pittore romagnolo verso alcuni aspetti dello stile di Albani.
L’incarnato rosaceo del nostro condottiero giunge a preziose e impalpabili stratificazioni di pelli pittoriche che terminano in una vellutata luminosità. Questa sembra espandersi sulle ciocche di capelli, sul tremolio dei baffi e sui dati somatici del volto, producendo come un effetto di languore delle forme. Tale intenerimento, ben conosciuto nei corpi muliebri delle sante e delle eroine dipinte da Guido, trova qui una esaltazione particolare dal contatto col regale apparato dell’abbigliamento.
Anche la posa da damerino con la mano sinistra poggiata col dorso sul fianco ricorda quelle di alcuni famosi David del pittore santarcangiolese.
Dovrebbe trattarsi di un’opera tarda dell’artista e non è azzardato ipotizzare che la figura ritratta appartenga ad un gentiluomo della corte viennese. Sul finire degli anni Cinquanta del Seicento e fino alla morte infatti Cagnacci offrì i servigi del suo pennello al più prestigioso dei collezionisti d’arte dell’epoca, Leopoldo d’Austria.

Bibliografia: inedito

6 Maggio / 18 Giugno 2006
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