leonardo blanco OPEN END

23 maggio – 19 luglio 2009

Monte di Pietà, via della Costa, 15
Santarcangelo di Romagna

All’entrata di quello che un tempo era stato un Monte di Pietà, subito due elementi ambigui, enigmatici, metaforici: una struttura che sembra la prua di una canoa o anche l’estremità di un corno, ma come inserita nell’architettura e, dunque, elisa, amputata: insieme incombente e remota, estroflessa e ritirata. E, lì vicino, un’inquietante scultura realizzata assemblando un dondolo in lamiera e uno strumento usato per la monta del bestiame, ancora cioè una figura che rimanda al tema dell’oscillamento (tra piacere e dolore, tra attesa e incontro).

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Leonardo Blanco
2008 tecnica mista su tavola 100x180cm

Si capisce allora perché Leonardo Blanco abbia voluto titolare la sua mostra Open End (una fine aperta o, senza timore di rovinare la portata semantica dei due termini, un’apertura senza fine). Egli ha dovuto ricorrere a quella bizzarra, barocca figura retorica che è l’ossimoro, un autentico ammicco a una realtà in cui gli opposti si tollerano, o meglio convivono come in una fucina di combinazioni alchemiche. Così i suoi quadri si presentano con proprie regole interne che non hanno nulla a che fare con una precisa coerenza linguistica.

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Leonardo Blanco
2008 tecnica mista su tavola 100x150cm

Se osserviamo uno qualsiasi dei lavori, ciò che ci si presenta davanti apparentemente è una gestualità nervosa, incontrollata, inarginabile, è un colore steso a pennellate rapide, energiche, a volte addirittura con la furia delle mani stesse. Al limite dell’Action, dove l’ultimo testamento della forma scompare e l’artista diventa la cosa stessa che sta creando. Solo che l’obiettivo di Blanco non è quello di eliminare il confine tra arte e vita, tra traccia e corpo, ma di indagare proprio l’avventura della traccia, il suo andare casuale, precario, senza una vera fine (o, anche, senza un vero fine, che, in fondo, è la stessa cosa). E allora egli torna metaforicamente sui suoi passi, cancellando, negando, velando (o, al contrario, aggiungendo altro materiale, quasi a voler rilevare tutti gli inciampi che si possono incontrare sulla “strada della creazione”). Così, alla fine, ciò di cui facciamo veramente esperienza, è quella di “luoghi d’anima”, di schegge di tenebra, di lettere di un alfabeto sconosciuto, in cui i segni acquistano un proprio essere, cessando di essere segni di qualcosa.

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Leonardo Blanco
2008 tecnica mista su tavola 50x80cm

E quando, per ultimo, Blanco avvolge con le sue resine industriali il quadro, il suo sembra un atto di preservazione e di custodia: quasi un mettere in salvo l’evento creativo. Solo che anche le resine sono materie che impongono la loro lampante fisicità. E la impongono soprattutto a quelle partiture asciutte e algide che danno l’impressione di segregare le varie immagini. Così, ancora una volta, ci troviamo di fronte ad una ambivalenza: a una difesa e a un imprigionamento, a un riparo e a una reclusione. Ma davvero poi le clausure geometriche sono perentorie come sbarre o invece tutto lo spazio è inesorabilmente un divenire, dove la perfezione scivola nell’anomalia, il dentro nel fuori, la superficie nel fondo, “l’aperto nel chiuso”?

Luigi Meneghelli

23 maggio / 19 luglio 2009
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